Tra le date simbolo della guerra civile bosniaca ed in genere delle guerre che hanno dilaniato la ex Jugoslavia negli anni ’90 difficilmente si ricorda il 18 novembre 1990. Quella domenica di trenta anni fa si celebrarono le prime elezioni multipartitiche nella Bosnia post socialista, furono le ultime in quello stato, quello partorito dagli accordi di Dayton dopo la guerra civile è ben altra cosa.
Nella fase di transizione post comunista i bosniaci potevano scegliere tra i partiti nazionalisti (serbo, croato e bosgnacco) e la prospettiva pacifista dell’Alleanza dei Riformisti del premier Ante Markovic che aveva l’ambizionso progetto della “Terza Jugoslavia democratica e plurale”.
I nazionalisti raccolsero il 70% dei voti, distribuiti lungo i futuri confini delgi stati “etnici” che sarebbero nati dopo Dayton. L’alleanza di Markovic prese il 9% spegnendo le ultime speranze sulla transizione pacifica dal comunismo ad un moderno stato plurale.
Quel che è successo è storia nota, i nazionalisti degli anni ’90 soffiarono prima sul fuoco dell’anticomunismo stabilendo una innaturale sinergia tra forze incompatibili che da li a qualche anno avrebbero scatenato la peggiore guerra fraticida del secolo scorso. All’unione fece seguito la vuota retorica che attingeva a piene mani nella demagogia di stampo etnico, un atteggiamento simile a quello degli attuali “sovranisti”.
Solo per ricordare che spesso il pericolo peggiore per la democrazia passa proprio dalle urne.